GUILLAUME DESANGES

 

 

 

[...]  C'è una vera “ecologia” di lavoro e di pensiero nel modo che Gianni Pettena ha di privilegiare l'osservazione rispetto alla produzione, la consapevolezza rispetto alla teoria, il gesto rispetto all'oggetto e la precarietà rispetto all'immutabilità. In realtà, il rapporto con i paesaggi, che è il cuore della sua pratica, resta sempre furtivo, accontentandosi spesso di progetti effimeri e reversibili, anche solo documentari o semplicemente sognati. Questa architettura mentale, che non manca tuttavia né di forme, né di seduzione, e neppure di esperienza fisica, è un modo originale di rinnovare i nostri pensieri sulla necessità di nuove relazioni col vivente, nell'arte e altrove. D'altronde, se è vicino a una corrente teorica radicale il cui obiettivo era “liberare l'uomo dalla costruzione architettonica” (Andrea Branzi), Gianni Pettena è anche discretamente debitore delle contro-culture della sua epoca (hippies, pacifisti e utopisti) la cui ecologia era una forte sfida. Decidendo precocemente di “imparare dalla natura” piuttosto che dominarla, la sua opera appare pioneristica nella critica agli effetti dell'antropocene, quelle tracce a volte indelebili della presenza umana negli ecosistemi moderni di cui l'architettura e l'urbanismo sono forme visibili. Ma al di là della denuncia, che non è mai frontale, è piuttosto la questione dell'apprendimento, della trasmissione dei saperi da un campo all'altro, da una cultura all'altra, da un regno all'altro, che segna il procedimento dell'artista. Le sue architetture vegetali o minerali connettono simbolicamente natura e cultura, delegando la loro forma e il loro destino al vento, al tempo e alle stagioni. Costruzioni che non sono dunque più isolanti o conduttrici, non sono più destinate a proteggere dalle contingenze e dalle intemperie, ma al contrario ne sono pienamente debitrici. È forse in questo rovesciamento permanente delle gerarchie – tra pratiche tradizionali e tecniciste dell'architettura, tra il vernacolare e l'universale, tra l’arte e l'architettura che Pettena è più in sintonia con lo spirito di questo ciclo. D'altronde, echeggiando gli stili nomadi di vita che lo contrassegnano, l'artista ha sempre considerato la sua carriera come qualcosa di mobile, non rigido, capace di scivoli e metamorfosi in funzione dei contesti. Artista, architetto, professore, teorico: non vuol dire cumulare le funzioni o passare dall'una all'altra in una prospettiva demiurgica, ma piuttosto restare sempre nell'ambiguità, nell'indefinito, nel rifiuto degli ordini e delle etichette. Nel suo celebre e seminale testo Ritratto dell'Artista come un giovane Architetto (1973), Gianni Pettena si definisce come un “anarchitetto”, piuttosto che un anti-architetto, distinzione fondamentale che indica una condizione creatrice o un’arte di vivere più che uno statuto.

 

Forgiven by Nature.Le Journel de la verriere, N°25, 2021